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martedì 18 ottobre 2011

Arirang- Regia: Kim Ki-Duk

Interpreti: Kim Ki-Duk; Durata: h 1.45; Nazionalità: Corea del Sud 2011;
Genere: Documentario


Non è facile esprimere un giudizio riguardo l'ultima fatica,
è il caso di dirlo, del Coreano Kim Ki-duk.
Travestito da docufilm, "Arirang", si presenta come vero e
proprio foglietto illustrativo, appendice esplicativa di un
passato inquieto e turbolento. "Istruzioni per l'uso", insomma,
dove "Cinema" sta per cura da qualsiasi male.
 

Durante le riprese del precedente, e poco ispirato, "Dream",
2008, un grave incidente mise a repentaglio la vita di una
attrice producendo duri effetti collaterali sulla psiche
del regista stesso, tanto da costringerlo ad allontanarsi
dal suo mondo di cellulosa, abbracciando una vita di
solitudine e penitenza.
Adesso è solo con se stesso, in se stesso.
Kim Ki-duk si concede alla telecamera digitale, unica sua
amica insieme alle cianfrusaglie presenti nella baracca,
nella quale vive ormai da anni, in maniera del tutto naturale.

Il Regista è nudo davanti al Regista stesso, divenendo allo
contempo mente e corpo della pellicola.
Si confida, piange, ride di se, dividendosi in una triplice
identità (Es, Io e Superio), trasportata dal tipico canto Coreano,
l'Arirang appunto, filo conduttore della pellicola. La voce
è straziata, logorata, addolorata, pacata. Un lungo percorso
d'espiazione per chiarire se stesso al se, come ad uno specchio.

La strada condurrà all'inevitabile disintegrazione del passato.
Il totale abbattimento delle fondamenta di una costruzione
ormai in rovina. Lo sfacelo di un corpo. Tabula rasa sul
vecchio, terreno fertile per il futuro. La rinascita.

Il Regista mette in luce un'attenta e chiarissima chiave
di lettura del proprio Cinema. Il confronto con se stesso
evidenzia quanto i 14 protagonisti dei suoi lungometraggi
gli appartengano: la tripartizione del proprio essere- 
Vasumitra, Samaria e Sonata, i tre capitoli de "La Samaritana"-,
la meticolosità nel riparare apparecchiature- "Ferro3,
La Casa Vuota"-, la volontà di poter essere allo stesso
tempo buono o cattivo, proprio come un animale selvaggio
- "Crocodile", "Wild Animals", "Bad Guy", "Address Unknown"-
riscoprendo quanto possa apparir semplice la prima e complessa
la seconda ("Real Fiction") -, la continua ricerca di un luogo
di benessere, redenzione o pace interiore- "Primavera, Estate,
Autunno, Inverno... e ancora Primavera", "Birdcage-Inn",
"The Coast Guard", "L'Arco", "Time", "Soffio"- spesso,
infatti, si chiede se continuerà a vivere in quella catapecchia,
in quella precarietà. L'incondizionata voglia di ricerca si
evince proprio nel momento in cui Kim Ki-duk, il Regista,
piange guardando il proprio doppio cinematografico superare
la fatica per ritrovare la tranquillità spirituale.
E' evidente come egli stesso, allontanatosi dalla dimensione
cinematografica, trovi l'unica via di fuga nel Cinema stesso.
E', dunque, vitale morire appesi all'amo del proprio Cinema- 
"Seom - L'isola".
Una vita per esso, "in assenza di questo, filmo me stesso".



Voto: 6

Vik

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