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martedì 4 ottobre 2011

La Piel Que Habito- Regia: Pedro Almodóvar

Interpreti: Antonio Banderas, Elena Anaya, Marisa Paredes, Blanca Suárez, Eduard Fernández,Fernando Cayo, José Luis Gomez, Jan Cornet, Bárbara Lennie, Isabel Blanco
 
Durata: h 2.00 Nazionalità:  Spagna, 2011 Genere: drammatico

"La pelle che abito" è il titolo, tanto enfatico quanto eloquente, dell'ultima fatica Almodóvariana; un dramma al vetriolo di difficile analisi.
Distanti dalle lussureggianti tinte del passato, ci si ritrova di fronte ad un prodotto scuro, un thriller monocromatico delineato da meticolosità chirurgica. Con tagli netti e poco invasivi, il Regista imbocca lo spettatore a piccole dosi, proprio come ad una cena Slow Food. Statici tasselli di un ostico puzzle letti al rovescio, ma pronti ad essere scoperti senza pietà al momento più opportuno.
I personaggi crescono lentamente, in un inesorabile climax ascendente, attraversando un ripido rettilineo di complessi dolori ed ossessioni morbose che non lasciano alcuna via di fuga. Il riscatto carnale è un miraggio.

Il film è suddivisibile in due blocchi effettivi, inestricabilmente legati tra loro come in un grosso e marcio apparato neurale.
Il primo, suggellato da ritmi serrati ed avvizziti, è un incipit in medias res. Un presente gia compiuto che, per ovvi motivi narrativi, non ha necessità di delineare solidamente nulla. Si piomba in un'attualità in preda alla sua naturale evoluzione, scaturita da eventi a noi del tutto estranei, che si concede, seppur in brevissima parte, a deviazioni puramente grottesche. Questa prima sezione, probabilmente, farà dubitare i più a tal punto da chiedersi "..ma Pedro c'è o ci fa?". In realtà, tutto assumerà una raffinata, e tanto sperata, piega concitata una volta approdati al secondo blocco.
Alla quasi atemporalità dell'azione precedente, si contrappone il succedersi di flashback, prima, e flashforward, dopo, espedienti prevedibili, ma d'obbligo, che districano qualsiasi nodo rigurgitando in un lancinante colpo di scena la cruda verità, frutto di una psicologia contorta e deforme.
L'autodistruzione del corpo a livello molecolare.

Ottime le interpretazioni degli attori. Su tutti spicca Elena Anaya, prigioniera più di se stessa che di Banderas, la quale, controllata dai fili invisibili dell'abile marionettista Almodóvar, viene indirizzata verso quella che appare come una corrosiva sindrome di Stoccolma, limbo venefico e tortuosa strada per il raggiungimento di un finale spiazzante e quanto mai geniale.
Non del tutto convincente, invece (e me ne rammarico), il doppiaggio italiano.

Voto: 7½

Vik




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